Gentilini e le province

Il problema non è abolire le Province, ma rafforzare il loro ruolo e

ridurre il centralismo regionale

 

provincie.pngGentilini si schiera contro l’esistenza delle Provincie, e non è certamente il solo.  Da tempo è in atto una campagna tesa a dipingere le province come enti inutili e spreconi, e a forza di ripeterlo questa convinzione si è radicata in gran parte dell’opinione pubblica. Se analoga campagna venisse fatta contro l’esistenza delle Regioni, argomenti e cifre da portare ve ne sarebbero ancor più in abbondanza. Ma trattandosi di enti che muovono interessi ben più forti di quelli provinciali, e che mantengono un ceto politico a tempo pieno con migliaia di collaboratori, si preferisce sacrificare l’anello debole della catena sull’altare della semplificazione a tutti i costi e della demagogia.

L’accusa di inutilità della Provincia è poi particolarmente inopportuna se proviene da chi ha amministrato e amministra da anni il Comune di Treviso. La Provincia di Treviso si distingue, infatti, per il fatto di non avere un comune capoluogo capace di svolgere un’azione politico amministrativa ad ampio raggio, ma bensì concentrata dentro le mura, non solo fisiche, della città. Treviso non rappresenta per il territorio provinciale quello che rappresenta Padova, o Venezia, o Verona, per altre realtà venete. Senza la Provincia, i 95 comuni trevigiani si dovrebbero rapportare direttamente a Venezia, alla Regione, non potrebbe certamente Treviso adempiere alle funzioni di area vasta, dall’edilizia scolastica alla programmazione urbanistica, dalla gestione dei rifiuti e delle problematiche ambientali alla viabilità provinciale e alle politiche del lavoro, che esercita la Provincia. Dunque aumenterebbe la distanza tra cittadini e centro decisionale, alla faccia del federalismo, oppure la Regione dovrebbe istituire gli ennesimi uffici provinciali della Regione per fare le stesse cose che faceva prima la Provincia. Certamente con gli stessi costi, se non maggiori (non avendo nessun controllo effettivo sul bilancio provinciale, in quanto rientrante nel calderone del bilancio regionale), e senza nessun controllo dell’opinione pubblica, mancando l’elemento democratico della elettività.

Gentilini afferma che la Costituzione non prevede le Provincie. Invece è l’esatto contrario: la Costituzione riconosce pari dignità alle Province e agli altri enti territoriali, affermando all’articolo 114 che “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”.

Per quanto riguarda gli sprechi, questi purtroppo non riguardano solo l’attività delle Province. Rimproveriamo spesso al Presidente Muraro di difendere a parole l’esistenza dell’ente Provincia ma nei fatti poi di praticare la sua inutilità distogliendo risorse verso attività di pura propaganda, o volte ad acquisire consenso per gli amministratori anziché realizzare interventi utili al territorio: come ad esempio le centinaia di migliaia di euro che la Giunta intende spendere nella propaganda sulle televisioni locali in vista delle prossime elezioni provinciali, o i 300.000 stanziati per due eventi ciclistici, a fronte della riduzione del fondo anticrisi da 500.000 euro nel 2009 a 300.000 nel 2010. Ma questo compete al modo nel quale si amministra e non alla natura dell’ente che si amministra.

La battaglia da fare in Veneto è piuttosto quella nei confronti della Regione per riconoscere alle province venete le stesse funzioni che già da molti anni svolgono le province di altre regioni.  Quando, a partire dal 1997, con le Leggi Bassanini si diede vita al decentramento delle funzioni dallo stato agli enti locali, la Regione Veneto fu quella più avara nel riconoscere un ruolo attivo alle province, preferendo tenere per sé una serie di attività che poco hanno a che fare con la natura legislativa e programmatoria propria delle regioni e molto con la gestione diretta dei servizi. Questo ha consentito alla Giunta Regionale di creare una serie di società strumentali con consigli di amministrazione ben pagati dove piazzare i propri fedelissimi, e di tenere nelle proprie mani una serie di partite fondamentali, come la autorizzazione ad aprire cave o la programmazione urbanistica (fino allo scorso marzo). Nel caso delle cave, in mancanza del piano regionale per l’attività estrattiva, previsto dalla legge del 1982 e che ancora non c’è, non si può dar corso ai piani provinciali: accade così che da 38 anni vige un regime transitorio nel quale è la Regione che autorizza i cavatori ad operare. Con questo modus operandi, è potuto accadere che nel 2002 il funzionario regionale con potere di firma sulle autorizzazioni venisse beccato all’uscita di un ristorante con in tasca una mazzetta di 17.000 euro. Per i cavatori trevigiani, condannati in primo grado, probabilmente subentrerà la prescrizione, ma il meccanismo dimostra come in assenza di una programmazione seria, che comporti poi il coinvolgimento delle Provincie, si lasci troppo spazio all’arbitrio della Regione anche dal punto di vista del controllo di legalità.

Un altro caso da citare a proposito del ruolo delle province è quello degli inceneritori di Silea e Bonisiolo proposti da Unindustria. Anche in questo caso la richiesta per questi impianti viene inoltrata alla Regione bypassando Comuni e Provincia. In mancanza di un piano regionale per la gestione dei rifiuti speciali, il tutto è rimesso all’autorizzazione diretta da parte della Regione. La soluzione trovata dal Consiglio Regionale per bloccare la realizzazione degli impianti è stata quella di condizionare l’apertura di nuovi impianti al parere dei consigli provinciali sulla indispensabilità di questi impianti dal punto di vista della vicinanza tra luogo ci produzione e luogo di smaltimento o trattamenti dei rifiuti. Una soluzione provvisoria, in attesa che la Regione faccia quello per il quale esiste e a cui non si è finora molto dedicata: la programmazione.

Al recente incontro al Sant’Artemio con la commissione Statuto del consiglio regionale, in molti, a cominciare dal Presidente Muraro, hanno chiesto che il nuovo Statuto fissi le competenze e le risorse da trasferire alle Province. Giusto, ma non serve aspettare il nuovo Statuto, al quale la Regione lavora ormai da anni, per fare ciò che altre regioni hanno già fatto da anni: cedere funzioni e risorse alle Province e ai Comuni. Il rischio è che lo statuto diventi un alibi per portarla ancora più in là nel tempo, e che non si intacchi la impostazione centralistica che caratterizza la Regione Veneto.

Un’ultima considerazione: alla recente assemblea provinciale di Unindustria, il presidente provinciale di Unindustria ha rilanciato l’abolizione delle province. Bene, ma per coerenza chi ritiene inutile il livello provinciale per la gestione della cosa pubblica, dovrebbe chiedersi se è indispensabile il livello provinciale per la organizzazione degli interessi degli industriali. Ci si limita ad attaccare l’Ente pubblico Provincia, ma non si valuta come tutta la società italiana sia di fatto organizzata a livello provinciale, molto più di quanto lo sia a livello regionale. Le camere di commercio, i sindacati, i partiti, le associazioni, le articolazioni dello stato, hanno nel livello provinciale il loro più solido e radicato punto di riferimento e di presenza nel territorio. Se si preferisce un modello nel quale si toglie il livello provinciale, allora si valuti se la partecipazione democratica, la ricchezza partecipativa e l’autonomia dei territori e delle comunità ne sarebbero avvantaggiate, o invece non si realizzi un modello di società verticalizzato e impoverito, in balìa di caste regionali e nazionali sempre più potenti e distanti dai cittadini.

Gentilini e le provinceultima modifica: 2010-07-24T18:18:49+02:00da sdluca1
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