Il risultato è che la Camera dei Deputati, la sola che sarà eletta dai cittadini, sarà composta perlopiù da nominati, anche se non solo, e la maggioranza sarà frutto di un premio di maggioranza, che potrà essere anche particolarmente distorsivo rispetto al consenso elettorale (una lista con il 25% potrebbe, in caso di vittoria, avere il 53% dei deputati).
Il PD realizza inoltre, con l’eliminazione delle coalizioni, quell’aspirazione all’autosufficenza che aveva animato la sua stagione iniziale sotto la guida di Walter Veltroni, quella cosiddetta “vocazione maggioritaria” che portò il nascente partito a determinare la fine anzitempo del Governo Prodi e a correre alle urne per liberarsi degli alleati (poi in realtà fece l’accordo con Italia dei Valori) e per consegnare a Berlusconi la più grande maggioranza mai prima registrata in Parlamento dalla nascita della Repubblica. Ci provò già il PD di Veltroni, del resto, a eliminare le coalizioni, attraverso un referendum proposto dal costituzionalista Guzzetta, tenuto nel 2009 ma che non ottenne il quorum perché neanche il 24% degli elettori andò a votare. Poi venne la segreteria Bersani che invece rifiutò sempre l’idea di un partito autosufficiente, e infatti costruì la coalizione Italia Bene Comune. Ora si torna indietro, a quel progetto di vocazione maggioritaria che oggi prende il volto del cosiddetto “partito della Nazione”.
Il contesto generale nel quale si colloca questa riforma elettorale è quello nel quale le elezioni a suffragio universale per le province sono state abolite e quindi decidono i grandi partiti già presenti nelle istituzioni chi mettere ad amministrarle, nelle Regioni si ha la tendenza da parte del PD di metter mano alle leggi elettorali per peggiorarle, aumentando le soglie di esclusione dai consigli e prevedendo alti premi di maggioranza, le elezioni del Senato verranno abolite e il Senato ridotto a emanazione delle segreterie di partito che manderanno i loro consiglieri regionali a popolare la nuova assemblea riformata. La Camera diventa il luogo principale del potere, determinante per costituire il governo e per determinare e scegliere gli organi di garanzia. La annunciata riforma della Rai dà più potere ai partiti di maggioranza nell’eleggere i membri del CDA, e dà più potere al Governo nelle scelte operative dell’azienda. Inoltre, la finanza locale viene sempre più ridimensionata e la riforma del titolo V ricentralizza una serie di competenze che oggi sono delle Regioni o condivise con le Regioni.
La legge elettorale rientra insomma dentro un disegno piuttosto organico di estrema verticalizzazione del potere. Dietro la retorica della democrazia che deve poter decidere, si sta modificando il nostro sistema democratico, liquefacendo il sistema delle rappresentanze e il sistema delle autonomie locali. Non è che si tratti del ribaltamento della democrazia in un regime dittatoriale, ma certamente uno scadimento della qualità democratica e un restringimento degli spazi di partecipazione. Sbagliato anche dal punto di vista socio economico, perché l’operazione di dare più potere ai potenti ha un segno sociale evidentemente antipopolare e antiegualitario.