referendum: battaglia culturale

edward_hopper04.jpgLa campagna per la raccolta delle firme per i tre referendum per l’acqua pubblica sta andando benissimo. Si sono già superate le 600.000 firme e ora si punta al milione. Questo successo si deve alla particolare sensibilità che il tema trova tra i cittadini, ma anche alla particolare combinazione di promotori che si stanno attivando per organizzare la raccolta. Dentro il comitato promotore stanno infatti una quantità di gruppi e movimenti che da tempo si occupano del tema (ricordiamo che il movimento per l’acqua ha già raccolto le firme e depositato una proposta di legge di iniziativa popolare sulla gestione dell’acqua), e di organizzazioni nazionali e locali: sindacati, associazioni ambientaliste, gruppi e organizzazioni cattoliche. E dentro il comitato di sostegno ci sono tutti i partiti della sinistra-sinistra. Si tratta di una compagnia eterogenea per ispirazione, storia, linguaggi, modalità organizzative, ma che però funziona e riesce a produrre mobilitazione e consenso. In questo senso questa campagna referendaria rappresenta un’esperienza importante di mobilitazione civica e democratica che bisogna saper tenere in campo anche dopo la fase di raccolta delle sottoscrizioni per i referendum.

Nel loro significato complessivo, i tre quesiti referendari hanno un contenuto innovativo che va sottolineato: i tre quesiti non si limitano a eliminare l’accelerazione del processo di privatizzazione della gestione dell’acqua, imposto dal Governo con voto di fiducia nello scorso novembre, ma intendono eliminare dal novero delle possibilità a disposizione degli enti locali la scelta di affidare ai privati e alla logica di mercato la gestione dell’acqua. Questo è anche il punto che differenzia questa campagna referendaria dal referendum proposto da Italia dei Valori e dalla nuova proposta di legge annunciata dal Partito Democratico.

Il referendum di Italia dei Valori interviene sul decreto legge 112 del giugno 2008, quello emanato poco dopo l’insediamento del Governo Berlusconi e approvato in 9 minuti dal Governo. Dentro c’era di tutto, compreso i tagli alla scuola. E vi era anche, all’art. 23-bis, una nuova normativa sui servizi pubblici locali. Da questo articolo il referendum di IDV elimina solo un passaggio nel quale si dice che il regolamento attuativo della legge, che attualmente è ancora allo stato di schema in attesa di approvazione, dovrà riguardare anche l’acqua. Interviene poi in  maniera manipolativa sul decreto legge 135 come convertito con voto di fiducia nel novembre del 2009. Secondo quanto sostiene Italia dei Valori, con queste modifiche si tornerebbe al regime normativo precedente alle ultime normative sull’acqua del Governo Berlusconi, nel quale gli enti pubblici possono scegliere, di fatto, se affidare la gestione ai privati, o a società miste pubblico-privato, o a società in house, interamente pubbliche.

La proposta di legge è stata annunciata dal PD in una conferenza stampa qualche giorno prima dell’inizio della raccolta di firme sui tre referendum. Non c’è una proposta di legge del PD già depositata in Parlamento, ma Bersani ha annunciato che verrà preparata assieme agli amministratori del PD e che verranno raccolte un milione di firme su una petizione a sostegno della proposta di legge. Evidentemente si tratta di una mossa del PD per far fronte all’iniziative referendaria che non ha mai condiviso. Ricordiamo che il PD non ha partecipato alla grande manifestazione del 20 marzo a Roma per l’acqua pubblica. L’idea di lanciare una petizione a sostegno di una proposta di legge che il numeroso gruppo parlamentare del PD non ha nessun problema a presentare è piuttosto bizzarra, e si spiega solo con la volontà di lanciare una raccolta di firme alternativa a quella referendaria. Bersani ha motivato la propria scelta di non sostenere il referendum con una considerazione, quella per la quale negli ultimi 15 anni non è passato nessun referendum e che si rischia perciò un boomerang, che di fatto archivia per sempre il ricorso allo strumento costituzionale del referendum. La considerazione corretta dovrebbe invece essere che forse proprio un tema sensibile come l’acqua può essere l’occasione per rilanciare questo importante strumento di democrazia diretta previsto dal nostro ordinamento. Nel fare la storia degli ultimi referendum bisognerebbe inoltre ricordare come una delle cause del loro fallimento possa essere rinvenuta proprio nella divisione delle forze del centrosinistra, che sono andate in ordine sparso o hanno puntato sull’astensione, e che l’atteggiamento del PD rischia di riproporre questo schema. Ricordiamo che l’ultimo referendum svolto in Italia si tenne l’anno scorso, il 21 e 22 giugno, su iniziativa proprio del PD e su un tema non particolarmente “appassionante” come la riforma elettorale: tre quesiti, del prof. Guzzetta, che puntavano a confermare di fatto la legge Calderoli e a ridurre la competizione elettorale a due soli partiti, impedendo l’attribuzione del premio di maggioranza a coalizione di partiti ma solo a liste singole. Risultato: il peggiore della storia della Repubblica, il 23% di partecipazione.

Sul merito della questione, il PD dichiara di voler proporre l’istituzione di una autorità indipendente di regolazione sul settore dell’acqua. Viene ripreso quanto previsto dal disegno di legge Lanzillotta, che durante il governo Prodi fu frenato dall’opposizione della parte di sinistra dell’allora maggioranza de L’Unione. E quanto proposto  di recente, dalle colonne del Corriere della Sera e de Il Sole 24Ore, dall’economista Giulio Napolitano, che per Federutility ha anche realizzato un apposito studio. In pratica, secondo il PD il problema centrale non è la privatizzazione dell’acqua, che anzi deve restare una delle possibilità a disposizione della scelta degli amministratori locali, ma la riorganizzazione nazionale del mercato dell’acqua con una autorità che vigili su qualità del servizio e soprattutto sui costi. Sull’istituzione dell’autorità si è dichiarato d’accordo sia il Ministro Ronchi, autore della norma di novembre, sia il presidente di Federutility, l’associazione delle società di gestione dei servizi pubblici, Roberto Bazzano, che ha dichiarato che attualmente il problema è la scarsa appetibilità del mercato dell’acqua per i privati. L’Autorità viene allora vista come uno strumento per dare garanzie certe agli investitori privati sul ritorno economico dei loro investimenti, e quindi agevolare l’apporto di capitali privati. Poi ovviamente si afferma che l’Autorità dovrebbe anche garantire i cittadini sulle migliori condizioni di prezzo.

Di fatto, della petizione annunciata non si è ancora visto nulla, e in moltissime realtà i militanti, gli elettori e gli amministratori del PD si sono schierati a favore del referendum, firmando o raccogliendo le firme o autenticandole. A fronte di cioò, il PD trevigiano ha diffuso un documento nel quale vengono ripresi pari pari i contenuti della proposta di legge nazionale come annunciati da Bersani, e però si afferma che il referendum “al di là della valutazione sull’effetto tecnico dei quesiti, rappresenta una fondamentale battaglia culturale per la difesa dell’acqua come bene pubblico, prezioso e limitato” e dunque “invita gli iscritti dei propri Circoli a sostenere la raccolta firme referendaria, organizzare iniziative, e ai Consiglieri comunali di mettersi a disposizione per l’autentica”. Non viene specificato a quale referendum ci si riferisca, se a quello nostro o quello di IDV, ma sembra normale pensare che si tratti di quello del movimento per l’acqua. Inoltre il Pd trevigiano annuncia una campagna di affissioni per l’acqua pubblica. Appare più un tentativo di tenere i piedi in due scarpe, e di capitalizzare politicamente pro domo propria il successo della campagna referendaria del movimento, più che una seria riflessione sul tema.

I referendum del movimento si caratterizzano dunque per una maggiore incisività: costringerebbero il legislatore a rimettere mano all’intera normativa riguardante i servizi idrici, spingendo verso una totale ripubblicizzazione del settore. L’assunto di partenza è che il settore dell’acqua non può essere trattato come quello dei trasporti pubblici o dell’asporto rifiuti, ma che ha una specificità che deve essere salvaguardata.

La situazione attuale prevede che il servizio idrico integrato, cioè captazione e distribuzione dell’acqua, e depurazione e fognature, venga considerato come un servizio a rilevanza economica. Come tale, il suo affidamento deve avvenire tramite gara pubblica. Gli Aato, ambiti territoriali ottimali, istituiti dalle regioni e costituiti dai rappresentanti dei comuni del territorio di competenza, devono predisporre i bandi di gara ai quali possono concorrere soggetti pubblici e soggetti privati. La tariffa a carico degli utenti deve contenere il costo del servizio, compreso le spese di funzionamento degli Aato e in più garantire la possibilità di finanziamento degli investimenti sulla rete e sulla fognatura, e in più garantire all’affidatario un margine di utile del 7%. A questi elementi la Regione Emilia-Romagna aveva anche aggiunto, con una propria legge, i costi per il funzionamento di una agenzia regionale per la regolazione del servizio. La legge emiliana è stata impugnata dal governo presso la Corte Costituzionale, che nel gennaio di quest’anno la ha dichiarata illegittima. Il meccanismo mette quindi in capo agli utenti il costo complessivo del servizio idrico integrato: attraverso la tariffa tutti i costi del servizio, fognatura e depurazione compresi, sono a carico degli utenti, e non a carico della fiscalità generale. E in più gli utenti devono garantire un margine di profitto del 7% a chi gestisce il servizio. E’ quello che viene definito sistema industriale nell’organizzazione del servizio.

Rispetto a questa impostazione vi è la totale condivisione da parte di PD e IDV, mentre i referendum del movimento abrogano, con il terzo quesito, la previsione del 7% come margine di rimuneratività del servizio: in pratica, chiede di non fare profitto sull’acqua. Con il primo quesito viene inoltre eliminato il meccanismo della messa a gara del servizio.

La messa in  gara del servizio è stata realizzata in Italia in poche realtà. Nel Veneto tutti gli Aato hanno scelta l’affidamento diretto a società in house, cioè a totale capitale pubblico (con la sola eccezione di Acegas-Aps Spa, società mista quotata in borsa). In questo modo si sono salvaguardate le gestione esistenti, lavorando per aggregazioni. Le gestioni acquedottistiche, precedentemente perlopiù in carico ai Comuni, sono via via passate a società a capitale pubblico. In Provincia di Treviso vi sono attualmente due soggetti affidatari, la Società Alto Trevigiano Servizi srl (ATS) e la Servizi Piave scrl, che grosso modo corrispondono rispettivamente a destra e sinistra Piave.  L’ATS ha tre società operative: il Consorzio Schievenin Alto Trevigiano, I Servizi Idrici della Castellana (S.I.C.) ed i Servizi Integrati Acqua S.p.A. (S.I.A.). La Servizi Piave ha tre società operative: Azienda Servizi Integrati S.p.A, “Servizi Idrici Sinistra Piave S.r.l.”, “Azienda Servizi Pubblici Sile-Piave S.p.A.”. A questa divisione si è giunti prima operando la salvaguardia dei gestori esistenti, e poi aggregandoli nelle due società più ampie, in base all’evoluzione della normativa e con lo scopo di evitare la messa a gara del servizio e operare l’affidamento in house a società totalmente pubbliche. Le assemblee dei soci delle due società sono costituite dai sindaci dei comuni dei territori gestiti. La presidenza del cda è del PDL per ATS, e della Lega per SP. Questa situazione spiega il fatto che contro la privatizzazione imposta dal Governo a novembre ci sia stato lo schieramento di tutto il centrodestra a livello trevigiano. La normativa di novembre interviene proprio su quelle realtà che hanno evitato di mettere a gara il servizio idrico: le costringe a far entrare il privato con il 40% di quota ma con tutta la gestione operativa, entro fine 2011. L’ordine del giorno dell’opposizione in consiglio provinciale contro quel provvedimento è stato approvato all’unanimità, e in molti comuni viene ora riproposto dalle amministrazioni del centrodestra come linea sulla quale attestarsi. Si tratta di un primo livello di battaglia, che potrebbe trovare una prima risposta con il decreto attuativo della normativa di novembre. Il secondo livello, caratteristico dei nostri referendum, è quello di sottrarre totalmente dalla gestione privatistica il servizio idrico, dichiarandolo servizio privo di rilevanza economica, come tale non assimilabile al trasporto pubblico o all’asporto rifiuto, perché connesso ad un bene comune, e di ripensare tutta la normativa di settore, arrivando ad una gestione trasparente e sotto il controllo pubblico, che eviti le inefficienze delle passate gestioni ma che non sposi il modello privatistico aziendalistico come unica soluzione per garantire efficienza.

In questo senso la battaglia referendaria rappresenta per noi anche un elemento di cultura politica e di ragionamento generale sul rapporto pubblico privato. Ridare dignità alla funzione delle istituzioni pubbliche, e senso alla partecipazione democratica attraverso gli organismi elettivi, mettere in discussione il pensiero unico sul mercato come unico meccanismo di erogazione dei servizi, sono alcuni degli obiettivi che dobbiamo mettere dentro la battaglia referendaria.

 

referendum: battaglia culturaleultima modifica: 2010-05-25T22:02:19+02:00da sdluca1
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