La voglia di precarietà (per i lavoratori) del governo Letta

Che il lavoro debba essere la prima preoccupazione del governo lo dicono tutti. Ne parla ovviamente anche il nuovo presidente del Consiglio, che la indica come una priorità. Al di là delle parole, quali sono però le proposte concrete per concretizzare questa priorità?  Se consideriamo le intenzioni dichiarate dal Governo, sullprecari1.jpge quali ha avuto la fiducia di PD, PDL e Scelta Civica, la strada scelta dall’esecutivo Letta era quella di riformare “da destra” la legge Fornero, per aumentare la precarizzazione del lavoro e incentivare il ricorso del tempo determinato a scapito del tempo indeterminato. Senonchè, i dati Isfol usciti pochi giorni fa paiono raffreddare l’ansia flessibilizzatrice del Governo e dimostrano che l’analisi su cui poggiava la politica del lavoro, cioè l’idea che la riforma Fornero fosse troppo “rigida”, era completamente sbagliata e il lavoro a tempo è invece in netto aumento. Ma sperare in un ripensamento è peccare di ottimismo.

Nel discorso programmatico di Letta, le indicazioni erano state piuttosto vaghe ma alcune scelte precise sono state dichiarate:

“Semplificheremo e rafforzeremo l’apprendistato, che ha dato buoni risultati in paesi vicini. Un aiuto può venire da modifiche alla legge 92/2012, quali suggerite dalla Commissione dei saggi istituita dal presidente della Repubblica, che riducano le restrizioni al contratto a termine, finché dura l’emergenza economica. Aiuteremo le imprese ad assumere giovani a tempo indeterminato, con defiscalizzazioni o con sostegni ai lavoratori con bassi salari, condizionati all’occupazione, in una politica generale di riduzione del costo del lavoro e del peso fiscale. Non bastano incentivi monetari. Occorre prendersi cura dei giovani, volgendo il disagio in speranza, puntando su orientamento e stimolo all’imprenditorialità. E occorre percorrere la strada europea tracciata dal programma Youth guarantee, per garantire effettivi sbocchi occupazionali. Bisogna fare tesoro della voglia di fare dei nuovi italiani, così come bisogna valorizzare gli italiani all’estero. La nomina di Cecile Kyenge significa una nuova concezione di confine, da barriera a speranza, da limite invalicabile a ponte tra comunità diverse.”

Quando Letta parla della legge 92 si riferisce alla riforma Fornero. La modifica che Letta propone alla legge è quella che da sempre chiede il PDL, che accusa la riforma sul mercato del Lavoro di non aver deregolato abbastanza. Il Presidente del Consiglio si riferisce alla relazione dei 10 saggi nominati da Napolitano, per rafforzare la sua tesi. I saggi si limitavano ad affermare:

“Poiché l’attesa ripresa di fine anno sarà caratterizzata per un certo periodo di tempo da incertezze sulla sua durata e intensità, vi è il rischio che le imprese siano estremamente prudenti nel procedere ad assunzioni a tempo indeterminato: per questo sarebbe utile riconsiderare le attuali regole restrittive nei confronti del lavoro a termine, almeno fino al consolidamento delle prospettive di crescita economica.”

 In definitiva, la proposta pare quella di agevolare le assunzioni a tempo determinato.

Al termine dell’incontro con Hollande all’Eliseo, pochi giorni dopo, Letta dichiarava: “«In un momento straordinario come questo è necessario un pochino meno di rigidità. Ci sono alcuni punti che in una fase recessiva stanno creando dei problemi». In altri termini, Letta propone di aumentare la flessibilità. Se Bersani in campagna elettorale prometteva di dare “un po’ di lavoro”, Letta promette “un pochino meno di rigidità”.

In concreto, l’idea è dunque di intervenire sulla riforma Fornero per aumentare la flessibilità e incentivare il ricorso a contratti a tempo determinato. La riforma del 2012 prevedeva tra l’altro un innalzamento dell’1,4% dei contributi sui contratti a tempo, per finanziare l’Aspi. Prevedeva un ampliamento del periodo di tempo che deve obbligatoriamente intercorrere tra la fine di un contratto a tempo e il successivo. Prevedeva un ampliamento della possibilità di ricorrere al lavoro a tempo determinato, eliminando per i contratti di durata inferiore a un anno l’obbligo di dimostrare le effettive necessità di ricorrere al lavoro a tempo.

Il 9 maggio sul quotidiano di Confindustria un’analisi di Arturo Maresca diceva con chiarezza: “Le misure congiunturali devono puntare a realizzare una fiammata di contratti a termine che, nel breve periodo (due/tre anni), consenta di dare sollievo all’attuale, drammatica situazione occupazionale”. E si proponeva di elevare a due anni il termine dei contratti a termine cosiddetti “acausali (cioè senza obbligo di giustificare il motivo del ricorso a un contratto a tempo determinato e non indeterminato), di eliminare l’aggravio contributivo dell’1,4% e di ridurre i tempi tra un contratto a tempo e il successivo.

Se queste sono le intenzioni dichiarate dal governo, poi accade che i dati dell’Isfol dicano invece che è aumentato il ricorso al tempo determinato e diminuito il ricorso alle collaborazioni (cocopro, collaborazioni a progetto etc.). Tra ottobre e dicembre 2012, infatti, si è registrata una ripresa dei contratti a tempo determinato saliti del +3,7% rispetto al terzo trimestre dello stesso anno mentre la quota di assunzioni con contratti a termine dal gennaio 2012 fino al dicembre dello stesso anno è salita dal 62,1% al 66,8%. I  contratti di apprendistato nell’ultimo trimestre 2012 aumentano del 5,2% mentre calano le ‘attivazioni’ a tempo indeterminato, diminuite del 5,7%; i contratti di collaborazione diminuiscono del 9,2%, e quelli di lavoro intermittente del 22,1%.

A questo punto Giovannini, uno dei saggi del Quirinale diventato poi Ministro del Lavoro, dichiara che bisogna andarci cauti nel modificare la Legge Fornero e ha parlato al Senato di “uno spostamento verso lavori a tempo determinato che sono in ripresa”. Poi in audizione alla Camera il 15 maggio dichiara: «Puntiamo al superamento di alcune rigidità sul contratto a tempo determinato e l’apprendistato. Tenendo conto, però, che secondo i dati Isfol sta aumentando il ricorso ai contratti a tempo determinato, mentre si riducono il lavoro intermittente e altre forme contrattuali meno tutelate, proprio come previsto dalla riforma. Anche l’apprendistato sta leggermente riprendendo». Quindi avanti con la precarizzazione, ma con un po’ di cautela perché la Legge Fornero sta già egregiamente funzionando nel ridurre il tempo indeterminato e aumentare il tempo determinato. Tanto che il Governo farebbe bene a rimangiarsi quanto detto finora e a lasciar perdere il tempo determinato, e a riconoscere che la modifica dell’art.18 della riforma Fornero non ha prodotto alcun aumento delle assunzioni a tempo indeterminato. Ma, probabilmente, è chiedere troppo al governo di larghe e  confuse intese.

 

 

La voglia di precarietà (per i lavoratori) del governo Lettaultima modifica: 2013-05-16T10:36:45+02:00da sdluca1
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