I colpi di coda del gentilinismo

treviso,manildo,gentilini,razzismo,elezioni comunaliAl primo turno delle comunali a Treviso si è capito che il cambiamento è a portata di mano, in quella che è suo malgrado diventata una città simbolo di un certo modo di essere leghisti. Gentilini annunciava la sua vittoria al primo turno, e invece si trova a rincorrere il candidato del centrosinistra Manildo. Come una fiera colpita a morte, il vecchio leone reagisce scompostamente annunciando l’invasione delle cavallette nel caso lui perdesse il potere sulla città dopo 20 anni. E così rispolvera il repertorio classico del suo personaggio, che mescola una versione iperbolica fino al grottesco dell’anticomunismo, della funzione di diga contro i sovietici tipica della destra DC dalla quale proviene Gentilini, con la propaganda xenofoba e razzista alla Borghezio, solo edulcorata rispetto all’orrido piemontese dal tono alterato e dal fare spaccone che i veneti sono tradizionalmente abituati a sentire, e perdonare, dagli avventori più sregolati delle osterie.

Ma questa volta  Gentilini pare superare sé stesso e dar fondo al livore infinito di chi, in questo fedele al motto andreottiano “il potere logora chi non ce l’ha”, vede avvicinarsi la fine di un ciclo di governo che lo ha visto protagonista per 20 anni dell’amministrazione di Treviso.

Il principio di realtà pare così in totale via di sparizione dall’orizzonte mentale di Gentilini, che comincia a popolarsi di orribili spettri. A Treviso sarebbero così all’opera le Brigate Rosse: “Chi è stato se non le Brigate Rosse a picchiare pochi giorni fa elementi di destra in piazza San Vito? Sono state le Brigate Gialle per caso? Sono le Brigate che hanno l’avvallo del partito comunista e Manildo è un comunista”. Ovviamente c’è l’invasione straniera alle porte: “Treviso sarebbe invasa da extracomunitari clandestini». Non mancano i gay che insedierebbero la solidità dell’istituto famigliare e i terribili centri sociali: “la maggioranza silenziosa dei cittadini trevigiani sono sicuro non darà mai in pasto la città alle sinistre che appoggiano i centri sociali e il matrimonio tra persone dello stesso sesso”.

Come il ministro della paura rappresentato da Antonio Albanese, il sindaco della paura Gentilini si erge a tutore dell’ordine e a difensore della civiltà tradizionale: “il baluardo della libertà e della difesa delle nostre tradizioni sono io: un crociato sansepolcrista che erigerà un muro contro la dittatura comunista».

Lo scontro di civiltà al quale Gentilini cerca di ridurre la contesa per il governo dell’Amministrazione Comunale di Treviso è l’ultima spiaggia di chi sa di non avere argomenti validi sul merito della questione che è in realtà in gioco, cioè il governo di una città nel 2013 a fronte di una crisi pesantissima, di una dimensione sempre più europea dei problemi e delle soluzioni, e di una esigenza di sguardo lungo e di capacità di concretezza nel trovare risposte ai problemi dell’oggi. La confusione è tale che Gentilini arriva ad annoverare tra i capisaldi della “filosofia comunista” quello di  “infrangere il patto di stabilità”, come se non fosse una richiesta di tutti i sindaci quella di allentare le maglie dell’austerità per poter spendere i soldi che si hanno in cassa e provvedere agli interventi più urgenti per i territori e per i cittadini amministrati.

Gentilini e i suoi seguaci pare che vogliano trovare un bersaglio personale per le loro contumelie razziste e per agitare spauracchi inesistenti nel consigliere eletto da La Sinistra Unita per Treviso, Said Chaibi, ovviamente prendendo a pretesto innanzitutto le sue origini familiari poco venete. Si tratta di una operazione di uno squallore politico infinito, di una spaventosa grettezza culturale e di una spregiudicatezza morale assoluta, che una città civile come Treviso non può che rigettare.

L’operazione progandistica dei gentiliniani ricorda l’isteria che pervase il centrodestra dopo il primo turno alle comunali di Milano, dove il “ladro di autoradio” Pisapia aveva messo sotto la sindaca uscente Moratti. Le destre fecero tutta la campagna su Zingaropoli, la città rifiutò quel pattume e chiuse con il morattismo, e ne seguì pure una condanna per discriminazione razziale. E’ lo stesso epilogo che si merita la destra trevigiana.

 

 

I colpi di coda del gentilinismoultima modifica: 2013-06-01T11:18:00+02:00da sdluca1
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