Mettiamo la PaTreVe con i piedi per terra

Se chiedessimo a un passante: “Secondo lei quante sono le metropoli in Italia?”, probabilmente ci guarderebbe strano e azzarderebbe un elenco a partire da Roma, Milano, poi esiterebbe e aggiungerebbe qualche altra ipotesi. Quel che è certo è che molto difficilmente proseguirebbe nell’elencazione fino a raggiungere la decina. Non hanno avuto esitazione a farlo invece il Governo e la maggioranza che lo sostiene nel fissare per legge che in Italia esistono più di 10 città metropolitane. Oggi dunque il nostro paese è quello in Europa più denso di metropoli. Siamo già a una quindicina e, se si desse retta a tutte le strampalate ipotesi che fioriscono di qua e di là, non ci metteremmo molto a superare la ventina. Già dalle denominazioni scelte, regna la confusione nella nuova architettura degli enti locali in via di costruzione. Si chiama Città Metropolitana quello che in realtà è un ente di area vasta che sostituisce la Provincia.

In Veneto la città metropolitana che attualmente la legge in materia individua è quella di Venezia. Per la legge attuale, la città metropolitana coincide con il territorio provinciale del comune di riferimento e assorbe le funzioni, le sedi, il personale, le obbligazioni dell’Ente Provincia che va a sostituire. Il passaggio sarà effettivo dal 1 gennaio 2015, ma entro il 30 settembre di quest’anno bisognerà che venga preparato lo statuto ed eletto il consiglio metropolitano tra i consiglieri comunali e amministratori dei comuni della provincia, che affiancherà il Sindaco metropolitano. Non si capisce come si riuscirà a fare, viste le note vicende che hanno travolto la politica veneziana. I sindaci del Veneziano, coordinati da Orsoni, avevano infatti deciso ai primi di maggio di tenere ai primi di luglio l’elezione, da parte degli amministratori, della conferenza metropolitana, che è l’organismo che dovrebbe redarre lo statuto della Città Metropolitana entro il 30 settembre. Ma anche nel resto d’Italia il processo non sembra marciare in modo particolarmente spedito, e comunque nel disinteresse generale.

Quando si parla di PaTreVe sarebbe quindi corretto partire dalla legge che c’è, visto che è stata approvata da 3 mesi e non da 30 anni ed è ancora in avvìo di attuazione, ed è la Legge Delrio figlia dei governi Letta e Renzi. Nella legge non è prevista la creazione di una città metropolitana costituita dalla fusione di due o più provincie. I tentativi di inserire nella legge questa possibilità creativa non hanno avuto successo. Se si vuole a tutti i costi l’aggregazione, dunque, è necessario che si ricorra al meccanismo, previsto dalla Costituzione all’art. 133, che regolamenta il passaggio di un comune da una provincia ad un’altra. La cosa divertente è che il comune di Padova ha già deliberato, nel novembre 2012, di chiedere il distacco dalla Provincia della quale è capoluogo e alla quale dà il nome, per essere annessa alla Provincia di Venezia, e tramite questa alla Città Metropolitana nella quale si sta trasformando.

Sia chiaro che, con questo percorso finalizzato alla creazione della PaTreVe, si realizzerebbe una città metropolitana di 2,5 milioni di abitanti al cui vertice sta il Sindaco di Venezia, cioè colui che è stato eletto dai soli cittadini di Venezia per amministrare quella città. Se fosse passato in Parlamento il progetto dei sostenitori della PaTreVe, oggi Orsoni sarebbe sindaco metropolitano delle tre province e avrebbe inguaiato, con le sue vicende, non solo la città di Venezia ma un territorio pari a quasi metà del Veneto popolato da oltre la metà della popolazione del Veneto. Il tipo di governance della Città Metropolitana prevede infatti che “il sindaco metropolitano è di diritto il sindaco del comune capoluogo”. Per poter prevedere l’elezione diretta da parte di tutti i cittadini del territorio amministrato, cioè quel vecchio arnese democratico oggi tanto disprezzato che è il suffragio universale, bisognerebbe prima dividere il Comune di Venezia in più comuni, con un lungo e complicato procedimento, e attendere che il governo emani una legge per stabilire con quale sistema procedere alle elezioni. E soprattutto bisogna che nello Statuto venga fatta la scelta per l’elezione diretta del sindaco metropolitano, eventualità sulla quale Orsoni manifestava contrarietà, a differenza di Pisapia. Ci sono tracce di questa discussione nel dibattito sulla PaTreVe?

Se quindi a Venezia si voterà a novembre per sostituire Orsoni, i cittadini di Venezia eleggeranno di fatto il capo della provincia di Venezia, rinominata Città Metropolitana (oltre a un potenziale neosenatore). Ed è probabile che lo faranno sulla base di considerazioni che avranno molto poco a che fare, ad esempio, con lo sviluppo turistico della Riviera del Brenta o con la realtà agricola del Veneto Orientale, o con i problemi delle scuole di Chioggia. Non ci è chiaro che specie di democrazia sia questa. Se invece le elezioni comunali veneziane si terranno in primavera, la Città Metropolitana nasce a gennaio acefala.

Alla base della legge del governo su Città Metropolitane e riforma delle province, e alla base del progetto della PaTreVe così come viene spinto, c’è il presupposto che le libere elezioni democratiche a suffragio universale non siano un elemento qualificante degli enti di governo territoriali, ma un impaccio che è meglio evitare. Non ci pare un grande elemento di modernità e progresso, ma un puro e semplice regresso verso una società gerarchizzata e immobile che tutela e da potere ai già potenti. Una visione tecnocratica ed elitista che spaccia come novità il ritorno all’antico. Si avverte nell’aria una voglia strisciante di autoritarismo, di verticalizzazione estrema del potere, di velocità e fragore futuristico nel fare le “riforme”. Ma se tutta questa assenza di impacci e questa velocità decisionale serve solo a poter meglio veicolare le politiche sbagliate che le classi dirigenti, nazionali e locali, ci impongono, chi se ne avvantaggia di tutta questa liquefazione degli apparati rappresentativi? Siamo sicuri che il problema siano i contenitori e i confini, cioè le province, i comuni, o su scala nazionale il Senato, e non invece i contenuti delle politiche attuate e da attuare? Per andare sul concreto, se il progetto di metropolitana di superficie è al palo da decenni, è colpa della mancanza di una città metropolitana interprovinciale, o è colpa di scelte e non scelte di chi ha gestito la Regione? Lo scempio di denaro pubblico del Consorzio Venezia Nuova è frutto dell’assenza di un sindaco metropolitano, o non è forse il frutto di una procedura straordinaria che ha messo al primo posto la velocità, l’efficienza, l’indispensabile procedere dei lavori del Mose, senza le seccature derivanti dalle elezioni e dalle conseguenze che queste determinano? La cementificazione del territorio è conseguenza della mancanza di un piano urbanistico che si fregi del titolo “metropolitano”, o piuttosto delle scelte fatte nei piani urbanistici comunali, provinciali e regionali?

Allora, sarebbe il caso di sgombrare il campo dalle ambiguità e dagli equivoci che la PaTreVe porta con sé. Si vuol costruire una sorta di nuova Regione, priva però del carattere democratico della elezione dei suoi amministratori? Lo si dica chiaramente, del resto esistono già movimenti che chiedono la separazione del Salento dalla Puglia e della Romagna dall’Emilia. Si vuol costruire una cabina di regia, dove i sindaci, organizzati dai partiti maggiori, contrattano con le categorie economiche le scelte amministrative, senza il fastidio di doverne rendere conto a qualche elettorato? Lo si dica. Continuare ad alimentare il progetto PaTreVe con motivazioni vaghe e fumose, o con argomenti sbrigative e schematiche come: PaTreVe è il bene, chi non è d’accordo è arretrato e conservatore, è probabilmente il modo migliore non solo per togliere gambe al progetto, il che non guasterebbe, ma anche per evitare di affrontare temi reali che riguardano il miglioramento dell’assetto di governo del territorio. Ad esempio, non è forse il caso di ragionare approfonditamente su una organizzazione del livello comunale che superi eccessi di frammentazione, ma che lo faccia con criteri di logicità e non in base alle simpatie e alle intese tra questo e quel sindaco, che poi, come si è visto con i due referendum in provincia di Treviso, non rappresentano neppure la volontà dei loro elettori? Si pensi allora alla “Grande Treviso”, ma anche a quei comuni attorno ai quali esiste già una logica mandamentale, perché poli di attrazione per i servizi scolastici, sanitari, trasportistici, produttivi, di un bacino più ampio rispetto ai propri confini comunali. Si tratta di Conegliano, Castelfranco, Vittorio Veneto, Montebelluna, e altre realtà, che potrebbero portarsi ad una dimensione più ampia, producendo sicuramente efficienza ma dentro il quadro democratico e trasparente della dimensione comunale.

E, prima di pensare a come realizzare la PaTreVe, non sarebbe il caso di mettere alla prova il funzionamento di questo nuovo tipo di ente locale, a partire dalla Città Metropolitana di Venezia, sui quali dovrebbero essere in pieno corso i lavori e invece pare non suscitare particolari entusiasmi da nessuna parte?

Oggi il panorama istituzionale del territorio della presunta PaTreVe è devastato dalle tanto decantate “riforme”. Se guardiamo agli enti di area vasta, le Province di Padova e Venezia hanno visto lo scioglimento del consiglio provinciale lo scorso 25 giugno, e rimangono in carica per l’ordinaria amministrazione assessori e presidenti a titolo gratuito, la Provincia di Padova è retta a titolo gratuito dal vicepresidente (la Presidente eletta è andata a far il sottosegretario del Governo Renzi), la Provincia di Venezia è retta dalla Presidente uscente, la Provincia di Treviso continua invece a pieno titolo il proprio mandato che scade nel 2016. La Provincia di Venezia cessa di esistere il 1 gennaio, salvo auspicabili proroghe vista la situazione. La Provincia di Padova deve tenere le elezioni di secondo livello entro il 30 settembre, con il voto riservato ai consiglieri comunali, per eleggere il nuovo consiglio provinciale composto solo da sindaci e amministratori. L’anno prossimo, insomma, avremmo tre realtà una diversa dall’altra: città metropolitana a Venezia, provincia di nuovo tipo a Padova, provincia del vecchio tipo a Treviso. Per chi ne ha voglia e capacità, c’è di che applicarsi, in questo contesto in via di rivoluzione, per introdurre gli efficientamenti e le istanze di coordinamento e copianificazione che troppo sbrigativamente vengono proiettati sulla soluzione taumaturgica della PaTreVe.

Senza dimenticare che l’esigenza di politiche coordinate che interessino un territorio trans provinciale che condivide flussi di lavoro, trasporto e comunicazione, può ben trovare una risposta diversa e più flessibile di quanto non sia la creazione di un nuovo Ente Locale su misura, anche all’interno nella programmazione regionale, che altrimenti non si capisce bene a cosa serva. Si contesti allora il PTRC, il piano urbanistico regionale, o il piano dei trasporti o il piano di sviluppo. Si entri insomma nel merito delle questioni, evitando vie di fuga illusorie, e ci si prepari alla battaglia per governare, meglio di come è stato finora, la Regione Veneto, anziché puntare alla sua liquidazione di fatto.

In definitiva, pare a noi che il dibattito sulla PaTreVe sia ozioso e fuorviante, se non parte da alcuni dati di fatto e da alcuni processi in corso che sono già di cambiamento radicale. Ed è significativo che qualche voce autorevole cominci a guardarci dentro, e a constatarne il vuoto. Un tempo l’Italia era il paese in cui tutti i cittadini erano commissari tecnici della Nazionale, oggi siamo tutti ingegneri istituzionali e costituzionali che smontano e rimontano le istituzioni come in un Lego impazzito. Per qualcuno, probabilmente, è anche un buon modo per non parlare delle vere riforme, quelle che cambiano la società, salvano l’ambiente, e riducono le disuguaglianze e le ingiustizie. E delle quali non si vede ancora traccia.mattoncini-lego

Mettiamo la PaTreVe con i piedi per terraultima modifica: 2014-07-08T14:42:08+02:00da sdluca1
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