Considerazioni sul discorso del Presidente Napolitano

Nel suo discorso di fine anno il presidente Napolitano ha detto molte cose NAPOLITANOcondivisibili, e ha dato dimostrazione ulteriore del suo scrupolo e del suo rigore nell’interpretare la funzione più alta delle istituzioni repubblicane. La scelta di lasciare la carica, motivata con puntigliosa attenzione al rispetto del dettato costituzionale, gli fa onore e merita il massimo rispetto. Ciò premesso, alcune argomentazioni di fondo, che reggono la parte del discorso di Napolitano tesa a tracciare un bilancio della sua opera al Quirinale in questi anni, non mi persuadono per nulla. E anzi credo siano alla base di un bel po’ di problemi del nostro paese.

Napolitano ricorda come fin dal suo primo discorso da presidente della Repubblica egli sostenesse che “il reciproco riconoscimento, rispetto e ascolto tra gli opposti schieramenti, il confrontarsi con dignità nelle assemblee elettive, l’individuare i temi di necessaria convergenza nell’interesse generale” non era in contraddizione con la democrazia dell’alternanza ma bensì costituiva un fattore determinante per conseguire risultati positivi da parte del paese,  addirittura  “il solo modo di garantire all’Italia stabilità politica e continuità istituzionale, e di affrontare su larghe basi unitarie le più gravi patologie di cui il nostro paese soffre. A cominciare da quella della criminalità organizzata e dell’economia criminale; e da quella di una corruzione capace di insinuarsi in ogni piega della realtà sociale e istituzionale”. Dietro un discorso che può apparire di buon senso e piuttosto ovvio, “bisogna essere tutti uniti contro criminalità e corruzione”, ci sta una concezione della vita istituzionale e politica che non sarà in netta contraddizione con la democrazia dell’alternanza, ma certamente è in contraddizione con l’idea che la democrazia significhi anche possibilità di confronto tra visioni del governo radicalmente diverse, che trovano il modo di misurarsi e di contendersi il potere e il consenso, e che nel loro conflitto determinano passi in avanti o passi indietro anche rispetto alla lotta alla corruzione e alla criminalità. Detto in altri termini, l’idea che il reciproco riconoscimento tra il centrosinistra e il fronte berlusconiano determini un passo in avanti nella lotta alla corruzione e alla criminalità su quali basi poggia? Non è invece vero che la logica delle larghe intese ha determinato un rallentamento dei provvedimenti che la situazione del paese richiederebbe per contrastare adeguatamente il cancro mafioso e corruttivo? Questa fiducia di Napolitano nella funzione in sé positiva dell’avvicinamento tra i due poli dello schieramento politico non ho mai inteso su quali dati fattuali, né su quali virtuose dinamiche istituzionali, poggiasse. Continuo a ritenerlo un presupposto aprioristico e non argomentato, che ha costituito la base ideologica per scelte istituzionali del Presidente che non hanno dato risultati positivi per il paese.

Le scelte di Napolitano degli ultimi anni non sono neutre ma rispondono a questa idea che la continuità istituzionale e la riduzione del conflitto tra i contendenti politici, fino anche al suo annullamento, sia in sé un fatto positivo. Napolitano ha lavorato in questi anni per tenere in piedi il più possibile il Governo Berlusconi, dopo la crisi aperta nella maggioranza dalla scissione di Fini, e poi per evitare poi di andare alle elezioni una volta finito quel governo e imporre un governo di larghe intese con un premier gradito all’establishment europeo, e poi per evitare che dopo le elezioni del 2013 si creasse un governo Bersani con una maggioranza incerta o risicata al Senato. Nel suo secondo mandato ha poi lavorato per evitare nuovamente le elezioni, e ha di fatto imposto il governo di larghe intese Letta Berlusconi, e poi difeso il governo Letta dopo l’uscita dalla maggioranza di Berlusconi e la scissione di Alfano, e poi legittimato lo sgambetto e la presa del potere di Renzi.

Nel suo discorso, Napolitano ha rivendicato la funzione positiva svolta dopo il reincarico con queste parole: “L’aver tenuto in piedi la legislatura apertasi con le elezioni di quasi due anni fa, è stato di per sé un risultato importante: si sono superati momenti di acuta tensione, imprevisti, alti e bassi nelle vicende di maggioranza e di governo; si è in sostanza evitato di confermare quell’immagine di un’Italia instabile che tanto ci penalizza, e si è messo in moto, nonostante la rottura del febbraio scorso, l’annunciato, indispensabile processo di cambiamento.” Qui il presidente ricorre ad un altro argomento, di quelli più triti e ritriti e buoni per ogni occasione, per legittimare la sua ansia di normalizzazione e di continuiamo a tutti i costi: quello del prestigio internazionale, dell’immagine da recuperare da parte del nostro paese agli occhi dell’Europa e del mondo. Un argomento che per avere una qualche solidità dovrebbe spiegare quando e perché abbiamo perso la credibilità, e quanto tempo ci vuole a recuperarla, visto che a quanto pare non sono bastati il serio Monti e la feroce Fornero e il mite Letta a rilegittimarci dopo la sbornia berlusconiana. Napolitano prende il tema dal punto di vista della instabilità, ma si potrebbe chiedere a quale instabilità faccia riferimento, visto che dal novembre 2011 non c’è stata alcuna rottura di continuità nella maggioranza: dopo 3 anni e mezzo di governo del centrodestra, si è costituita una maggioranza tra PD, centristi e berlusconiani (tutti o parte di essi) che dura tutt’ora. Se l’instabilità fa riferimento al cambio dei governi e dei presidenti di Consiglio, allora la considerazione sarebbe dovuta applicarsi anche al cambio Letta-Renzi, cosa che Napolitano non ha mai fatto. Allora, l’instabilità cui fa riferimento è quella legata alle elezioni: è instabile un paese nel quale si vota più di una volta ogni cinque anni. E, secondo Napolitano, compito della presidenza della Repubblica è quello di garantire la continuità della legislatura come bene in sé. In questa concezione si affaccia il sottofondo di un’idea del funzionamento della macchina politica istituzionale che trova il suo centro e il baricentro nel presidente della Repubblica. Si affaccia insomma la forzatura del nostro sistema verso una repubblica presidenziale. A questo proposito, quando la sottocommissione dell’Assemblea Costituente si discusse di quale modello di repubblica mettere nella carta, se repubblica presidenziale o parlamentare, Giorgio Amendola sosteneva che “la maggiore stabilità possa essere assicurata da un regime parlamentare che permetta “, in modo da evitare quei contrasti tra la situazione politica del Paese e la situazione politica parlamentare governativa, che sono causa delle crisi che pongono in pericolo la struttura dello Stato.” Mutatis mutandis, alla fine l’argomentazione di Amendola regge ancora oggi. L’idea che il presidente della Repubblica sia quel motore di riserva che entra in funzione quando il sistema politico entra in difficoltà, e lo sostituisce di fatto assumendosi il potere di scelta del governo e di indirizzo politico, se portata all’estremo e protratta per anni come ha fatto Napolitano costituisce di fatto l’espulsione dalla dinamica istituzionale della volontà popolare. Da una parte l’espressione della volontà popolare, cioè il voto politico, viene considerato un aggravamento insopportabile anziché una soluzione rispetto a situazioni di stallo parlamentare, dall’altro si ritiene di non prendere quasi per nulla in considerazione le indicazioni del corpo elettorale e si persegue a tutti i costi la formula delle larghe intese, in quanto funzionale a garantire la realizzazione delle politiche economiche richieste dall’establishment europeo e nazionale.

Rispetto a tutto questo, Napolitano non ritiene che si debba tornare a una situazione di maggior “adeguamento della situazione governativa allo sviluppo della situazione politica del Paese”, per dirla con Amendola, ma bensì che si debba chiudere l’unica eccezionalità costituzionale che egli riconosce, legata al fatto di aver rieletto per un secondo mandato lo stesso presidente della Repubblica.

Perlomeno, il Presidente della Repubblica ha avuto l’onestà di riconoscere che “tutti gli interventi pubblici messi in atto in Italia negli ultimi anni stentano a produrre effetti decisivi, che allevino il peso delle ristrettezze e delle nuove povertà per un così gran numero di famiglie e si traducano in prospettive di occupazione per masse di giovani tenuti fuori o ai margini del mercato del lavoro.” Putroppo, rispetto a questo fallimento totale che viene giustamente riconosciuto, non è per niente estranea l’opera di Napolitano come deus ex machina degli ultimi esecutivi.

Napolitano, per dirla in altri termini, ha incarnato una idea di attaccamento  e servizio alle istituzioni che ha messo avanti le istituzioni stesse rispetto alle finalità di quelle istituzioni. Giocare allo sfascio delle istituzioni e della democrazia come fa Grillo è pericoloso e inaccettabile, ma questo non deve far dimenticare che la difesa delle istituzioni passa anche attraverso i risultati in termini di progresso, giustizia e civiltà che queste riescono a garantire. Speriamo che il prossimo Presidente della Repubblica lo abbia ben chiaro.

Considerazioni sul discorso del Presidente Napolitanoultima modifica: 2015-01-02T18:25:19+01:00da sdluca1
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