Rai, un servizio ben poco pubblico
Prendiamo il mese di dicembre e vediamo infatti come sono distribuiti dalla televisione pubblica gli spazi riservati all’informazione politica. Nel complesso dei Tg della Rai (Rai 1, 2, 3 e Rai News), nel mese di dicembre al Pd sono state riservate 12 ore e 12 minuti (il 44,2% del tempo dedicato alle forze politiche), al Movimento5stelle 6 ore e 26 (il 23,3%), a Forza Italia 3 ore e 58 (il 14,38%), la Lega 1 ore e 47 (il 6,46%), Ncd 1 ora (3,67%), SEL 33 minuti (2,02%). A questo tempo va sommato quello dedicato al Presidente del Consiglio, 13 ore 11 minuti, e al governo, 9 ore e 1 minuto. E allora il quadro è quello di una tracotante supremazia mediatica del Partito Democratico, e del suo segretario in particolare. Anche il movimento di Grillo non ha di che lamentarsi: per essere quelli che a parole disprezzano il mezzo televisivo, in realtà sono ben rappresentati nei telegiornali e attraverso la televisione possono mantenere un contatto con il loro elettorato e acquisirne dell’altro.
Se si guarda a tutte le altre trasmissioni che non siano i telegiornali, sempre sulla Rai e sempre nel mese di dicembre, la situazione non cambia per il PD, che risulta il partito più presente con 7 ore 41 minuti (il 38,34% dello spazio dedicato ai partiti), a cui aggiungere 2 ore e 32 minuti per il capo del Governo e 3 ore e 43 per ministri e sottosegretari (PD e NCD). Agli altri restano 3 ore e 29 per Forza Italia, 3 ore e 16 per Lega Nord, 1 ora e 22 per il Movimento5stelle e ben 44 minuti per Sinistra Ecologia Libertà. Qui si evidenzia l’effetto Salvini che spinge la Lega a una sovrarappresentazione, e la ritrosia dei grillini alla partecipazione ai talk show che riduce il dato del M5S.
Nel complesso, appare evidente che la Rai, che costa 2 miliardi all’anno alle nostre casse per svolgere servizio pubblico, continua a svolgere un ruolo di servizio di comunicazione governativa che è agli antipodi di una libera e corretta informazione. Con l’aggravante che, mentre un tempo vigeva una sorta di ripartizione rigida ma non scritta degli spazi, chiamata spregiativamente lottizzazione, che dava a ciascuno accesso all’informazione pubblica secondo la propria consistenza elettorale e parlamentare (che nella prima repubblica coincidevano), ora, dopo la cura berlusconiana, l’informazione è al servizio di singoli potenti di turno. Una sorta di premio di maggioranza dell’informazione pubblica che punta a rafforzare i già forti e penalizzare tutti gli altri. L’informazione, insomma, come cane da guardia del potere, non nel senso inglese di controllare il potere, ma nel senso di proteggere il potere azzannando chi vi si voglia avvicinare.
Da quando Berlusconi non è più a capo del Governo, il tema della libertà di informazione e della obiettività e imparzialità del servizio pubblico è stato messo in un angolo. Non perché il problema non esista più, ma perché della patologia dell’informazione italiana oggi sono altri ad avvantaggiarsene.
E invece bisognerebbe riprendere questa battaglia, a sinistra, specie ora che il governo e la sua maggioranza stanno procedendo ad una riforma della Costituzione e della legge elettorale volte a ridurre ulteriormente gli spazi di democrazia del nostro sistema